martedì 25 dicembre 2018

Natale a casa di Ernest


La mia è una di quelle famiglie pro-pranzo di Natale. Ricordo solamente un'occasione in cui abbiamo fatto il cenone e aperto i regali di sera. Il più brutto Natale della mia vita. 
Una tradizione che porto con me, al di là del significato religioso. Ho ancora ben presente l'ansia della sera prima, l'attesa di Babbo Natale o Gesù Bambino come si diceva una volta, la magia dell'apparizione inspiegabile dei regali comparsi dal nulla in poche ore. 
Prima non c'erano, ora si. 
I miei passavano nottate intere a montare i giocattoli, così alla mattina io e mio fratello trovavamo il fortino dei Playmobil montato, il camioncino dei lego, il subbuteo, i puffi e altro ancora. 
Il pranzo poi era un vero e proprio rituale. L'aperitivo di mio padre, rigorosamente Negroni da accompagnare a stuzzichini per non rischiare di brindare con l'armadio al posto della zia. Poi una quantità infinita di antipasti che si finiva di mangiare attorno alle due del pomeriggio. Due primi logicamente, i ravioli di mia madre sui quali iniziava la solita discussione, ovvero col sugo alla genovese o al ragù? Destino di chi ha un padre filo-emiliano e una madre genovese. In tavola venivano portate due "fiammanghille" di ravioli conditi in tutte e due le maniere, l'unica cosa che avevano in comune è che non ne rimaneva nemmeno uno. 
In mezzo spesso si mangiava il pinzimonio, si diceva per depurarsi un po'. Poi come nei migliori incontri di box, fuori i secondi. E allora via con arrosto al sugo, patatine, salsa verde e l'immancabile cima. Per quelli che non erano sazi ci pensava la zia irrompendo in sala con la fatidica domanda "chi vuole un po' di carne fritta". 
La firma finale veniva messa dalla frutta secca e dai dolci che comparivano in tavola verso le quattro e mezza cinque, seguiti dai giochi che noi bambini richiedevamo a gran voce. Tombola, mercante in fiera e settemezzo. 
Verso sera poi tutti si dicevano sazi, ma bastava che uno iniziasse a mangiare qualche raviolo riscaldato per far ripartire la macchina instancabile della cucina. 
Gli unici intervalli tra una portata e l'altra erano riempiti da noi ragazzi che insieme a mio zio cantavamo canzoni in genovese. Niente chat, niente foto ai piatti, tanti bei dialoghi, risate sane e racconti. 
Ora quello che posso fare io è cercare di bagnare le radici di questa tradizione e trasmetterla a Greta, nella speranza di riuscirci almeno un po'. 
Buon Natale e buone feste ragazzi. 
E che si sappia nella foto i seicento ravioli appena fatti da mia madre e io preferisco il sugo alla genovese.

10 commenti:

  1. che bella tradizione, mi piacciono le famiglie miste.
    non so come sia il sugo alla genovese (in ogni caso sono vegetariana da 25 anni) ma sono certa che era tutto buonissimo e che tua figlia avrà ricordi da coccolare nel suo futuro.
    buon natale

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  2. Si.. anche per me... il pranzo era Natale, il 25, poca roba il cenone del 24...fritti soprattutto..e magari pure la messa a mezzanotte... ma parliamo di tempi andati...nonni e zii che non ci sono più, genitori ammaccati, e poco futuro di progenie.. Buone feste intanto... ;)

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  3. Anche a casa mia funziona più o meno così :)
    Buone feste Ernest

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  4. Aggiungo che ho preso 3 kg a leggere questo post!

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  5. Non chiedermi come sono arrivata qui, perché non me lo ricordo, ma sono felice di aver trovato il tuo blog.
    Se riuscirai a trasmettere a Greta l'amore per la famiglia e per le sue tradizioni, avrai già fatto un piccolo miracolo.
    Buona fine d'anno. Baci

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  6. Caro Ernest, bellissimo il ritratto della tua famiglia. Ti auguro sempre tanto amore lungo la strada. Un bacino a Greta piccolo tesoro che conosciamo da un po'.
    Buon ANNO.

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  7. Anche per noi in bergamasca ravioli ma conditi rigorosamente burro e salvia, mia mamma non contempla neanche altri tipi di sugo, vorrei scandalizzarla col sugo alla genovese,,,
    ciao Betty

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