"C'è un momento, nel corso della vita, in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal solito. Tale bisogno, i cui contorni sfumano, e che tale può restare per il resto dell'esistenza come una persona incompiuta, ricorsiva, insistente, è ciò che prende il nome di pensiero autobiografico.
Entra a far parte della nostra esperienza umana ed intellettuale soltanto quando gli facciamo spazio; quando si fa esercizio filosofico applicato a se stessi (chi sono e chi sono stato?); quando diventa un luogo interiore di benessere e cura.
...Ciò che è stato poteva forse compiersi altrimenti, la storia avrebbe potuto conoscere altri finali, ma, comunque sia, ora quella storia è ciò che è.
E si tratta di cercare di amarla poiché la nostra storia di vita è il primo e ultimo amore che ci è dato in sorte. Per tale motivo il pensiero autobiografico in un certo qual modo ci cura; ci fa sentire meglio attraverso il raccontarci e il raccontare che diventano quasi forme di liberazione e ricongiungimento. Nel mentre ci rappresentiamo e ricostruiamo, ci rivediamo alla moviola e, come ebbe a dire Marcel Proust, "sviluppiamo i negativi della nostra vita", ci riprendiamo tra le mani.
Ci prendiamo appunto in carico (in cura) e ci assumiamo la responsabilità di tutto ciò che siamo stati o abbiamo fatto e, a questo punto, non possiamo che accettare."
Duccio Demetrio - "Raccontarsi - L'autobiografia come cura di sé"
Avete presente quelle cene tra parenti in cui il vecchio zio racconta episodi di 60 anni fa, oppure la nonna che si ricorda ancora quella fotografia dei figli soli davanti a quella vetrina a guardare i dolci inarrivabili, e poi le bombe, le fughe nei rifugi, la bisnonna che metteva la pentola di ragù sul fuoco alle 7 del mattino.
Oppure le serate con i vecchi amici delle superiori i "ti ricordi" che vengono fuori, episodi della nostra vita ripetuti 20 volte come se non fossero mai stati ascoltati.
La magia sta proprio nel fatto che nel preciso momento in cui vengono fuori le parole si rivive quell'episodio, quella situazione, quella fidanzata che ci ha lasciato oppure quella che abbiamo mollato noi, quell'amico perso poi ritrovato, quell'incomprensione, l'ansia delle interrogazioni che ti facevano diventare sempre più piccolo sotto il banco e poi puntualmente venivi chiamato.
Quante volte ci siamo sentiti dire "devi parlare con qualcuno"... "devi raccontarle queste cose", specialmente nei momenti bui della nostra vita, già e quante volte magari non l'abbiamo fatto, ci siamo tenuti dentro cose ed emozioni. E poi perché non farlo sempre a prescindere dalla stato d'animo?!?
Ma soprattutto quante volte ce la siamo raccontata, abbiamo mentito a noi stessi, provato a trasformare un fatto vissuto solo per darci ragione arrivando poi anni dopo a dire la classica frase "mah, come avrò fatto a fare una cosa del genere".
E' davvero difficile fare la propria autobiografia, e non di meri fatti attenzione, ma anche di emozioni. Fermarsi e farsi delle domande mai poste prime.
Quando è stata la prima volta che...
...mi sono sentito al mondo?
...che ho conosciuto il bene e il male?
...che ho voluto bene a qualcuno per la prima volta?
...che ho incontrato l'ingiustizia?
...che ho scoperto la bellezza?
...che vi siete sentiti felici?
...che avete imparato qualcosa di utile?
...che avete giocato?
...che avete pensato qualcosa di importante?
...che vi siete sentiti liberi?
...che avete assaporato il gusto di osservare?
E il ricordo più antico?
Insomma la mia paura è che nella velocità della nostra vita, nella frenesia delle giornate si perda il gusto del raccontare, del parlare con le persone che si hanno vicino, fermandosi solo alla superficialità, perdendo i ricordi della vita che ci ha formato e plasmato. Così lontani da noi nel tempo ma sempre parte integrante di ciò che siamo ora.
Perché in fondo siamo gli stessi che cadevano dal seggiolone per colpa di un giradischi, gli stessi che giocavano a soldatini o con i pentolini, quelli che hanno fatto la rondine sul un palco, quelli vestiti da Lilltle John, quelli dei primi cortei e dell'occupazione, delle prime sigarette, degli sballi, delle storie d'amore che ci hanno fatto disperare innamorare piangere e toccare le stelle, quelli delle delusioni e delle sorprese, quelli traditi e che hanno tradito, quelli che andavano in giro senza casco e ora se lo metterebbero anche in ascensore, quelli che seduti ai banchi di scuola con la Smemoranda distrutta dove i compiti non sono mai stati scritti, quelli che hanno sbagliato e raggiunto traguardi inaspettati, quelli con le risvolte, quelli che si fermavano al distributore per fare la miscela, quelli che si alzavano presto la domenica per impastare con la mamma, quelli che hanno incontrato persone disgustose, che ci hanno fatto del male che in fondo ci hanno fatto anche crescere.
Siamo ancora tutto ciò, raccontiamo.
Non dimentichiamolo mai.