lunedì 24 settembre 2018 14 vostri commenti

Fuori dai gruppi

Non voglio dividere il mondo in bianco e nero, avere una visione manichea, ci mancherebbe anche se a volte nelle nostre considerazioni affrettate il rischio è sempre dietro l'angolo. 
E' chiaro però, in questo momento storico, che sia venuta meno la partecipazione delle persone, l'impegno. 
Servirebbe una macchina del tempo per capire qual'é stato il preciso momento in cui abbiamo deciso di delegare, di non occuparci della cosa pubblica, di non esporci. E' una considerazione che va al di là dell'attuale governo. 
Prendendo in considerazione il mio posto di lavoro, dove negli ultimi anni, grazie all'azione sindacale e non solo, abbiamo ottenuto alcuni vantaggi rispetto ad altri, devo comunque registrare la poca partecipazione alle assemblee e alle iniziative collettive. Vale lo stesso discorso per i movimenti politici. 
Probabilmente c'è stato un momento storico in cui il "noi" è stato sostituito dal'"io", il bisogno individuale che supera quello collettivo, la perdita del movimento di gruppo. Le ragioni davvero potrebbero essere molte. Qualcuno in prima istanza cita il fallimento dei sindacati, l'appannamento della loro missione e la troppa vicinanza della politica. In parte posso anche capire, ma ad esempio anche quando c'era il PCI il sindacato era politicizzato, e di conquiste in quegli anni ne sono state ottenute. Altre teste pensanti evidentemente. 
Paradossale è il fatto che nella nostra dimensione parallela, quella digitale, si cerchi di fare gruppo, socializzare, creare chat in ogni momento per restare in contatto, quando nella realtà invece si cerca l'opposto. 
Lo dico con estrema amarezza perché spesso ormai ci si trova da soli a lottare contro mulini a vento moderni, e alla fine della battaglia poi si presentano orde di personaggi a chiedere conto dell'esito dello scontro. Succede così, purtroppo. 
Davvero il "perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione"? Davvero basta questo? Perché se fosse direi che stiamo affondando da parecchio tempo. 

lunedì 3 settembre 2018 20 vostri commenti

Sospesi


Noi genovesi siamo ancora là, sospesi tra i due monconi del ponte. Passando per quella zona si ha l'idea di essere osservati da quell'enorme blocco di cemento ora lasciato solo, una sorta di richiamo alla pietà, come se ci chiedesse di finirlo. 
Invece siamo fermi, nel vero senso della parola col pensiero a quelle 43 vite spezzate.
La circolazione verso il ponente è davvero problematica, prendere l'autostrada per Ventimiglia costringe molti ad attraversare la città. Ma non è solo un problema di traffico, stiamo parlando della vita delle persone. Parliamo di case che sono in attesa, anche loro sospese tra il tornare alla normalità e l'essere abbattute. Parliamo di lavoro, grande e piccoli negozi che rischiano di chiudere anche perché la psicosi del traffico tra prendendo sopravvento.
Nel frattempo stiamo assistendo al solito balletto delle colpe, cose già viste in Italia. E' strano vedere che ora molti usano la parola nazionalizzazione quando per anni al solo sentire una cosa del genere gridavano ai bolscevichi alle porte. 
Ma è un paese così questo, dove a Febbraio in una lettera si legge che il ponte non è sicuro ma nessuno fa niente. Sia chiaro nessuno escluso compreso l'attuale governo. Per non parlare di Autostrade, senza dimenticare gli amministratori regionali e comunali che ora gridano vergogna. Viene da chiedersi dove fossero in tutti questi anni. "Quel ponte è malato" molti lo dicevano a Genova ma non ricordo levate di scudi di nessuno colore. 
Ma qui ormai è sempre più difficile parlare, discutere, si va avanti a colpi di slogan, spuntano esperti in ogni angolo, completamente immersi in un'enorme fake news. 
E noi siamo li appesi.

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