Una volta eravamo uno dei paesi con maggiore partecipazione alle elezioni, un profondo senso del dovere, il fatto di avere ancora in mente l'aria della dittatura fascista e i tempi della lista unica, perché i soggetti che si presentavano alle elezioni erano decisamente diversi, perché noi eravamo diversi.
I tempi erano quelli dei partiti di massa, dei comizi, dei giornali appesi fuori dalle sedi di partito, dalla partecipazione vera, fisica, dello stare insieme. Nessun click, nessun commento o condivisione sui social. Ci si doveva alzare, camminare e faticare per dire la propria.
Al di là del piacere di vedere gente come Salvini e Meloni finire senza niente in mano, riuscendo a perdere anche Latina, roccaforte della destra, mi pare di poter dire che non sia mai una buona notizia la poca partecipazione.
Anzi, credo che sia proprio uno dei mali della nostra epoca, dove basta premere i tasti di una tastiera per pensare di avere "fatto la rivoluzione".
Questo succede a tutti i livelli, anche nelle tanto "odiate" assemblee di condominio.
Chi fa politica raramente si pone delle domande rispetto a tutto ciò, idem chi dall'altra parte procede con colpi di qualunquismo del tipo "la politica fa schifo", "il sindacato non serve" e via di seguito.
Mi pare ci sia una profonda crisi delle pensiero al "collettivo" e si proceda sempre di più su un sentiero tracciato solo per l'individuo, senza nemmeno voltarsi per aiutare chi rimane indietro.