lunedì 31 dicembre 2018 8 vostri commenti

Duemiladiciannove con fantasia.



“Papà un giorno mi porti a vedere dove finisce l’arcobaleno?!?”.
L’augurio è quello di andare alla ricerca dell’impossibile, di quello che ad altri sembra irraggiungibile, di non fermarsi alla prima spiegazione data, di scavalcarli ogni tanto i muri, di aprire porte e di vedere più colori non solo uno, magari mettendoci anche un po’ di sana fantasia.
Buon 2019!!!
martedì 25 dicembre 2018 10 vostri commenti

Natale a casa di Ernest


La mia è una di quelle famiglie pro-pranzo di Natale. Ricordo solamente un'occasione in cui abbiamo fatto il cenone e aperto i regali di sera. Il più brutto Natale della mia vita. 
Una tradizione che porto con me, al di là del significato religioso. Ho ancora ben presente l'ansia della sera prima, l'attesa di Babbo Natale o Gesù Bambino come si diceva una volta, la magia dell'apparizione inspiegabile dei regali comparsi dal nulla in poche ore. 
Prima non c'erano, ora si. 
I miei passavano nottate intere a montare i giocattoli, così alla mattina io e mio fratello trovavamo il fortino dei Playmobil montato, il camioncino dei lego, il subbuteo, i puffi e altro ancora. 
Il pranzo poi era un vero e proprio rituale. L'aperitivo di mio padre, rigorosamente Negroni da accompagnare a stuzzichini per non rischiare di brindare con l'armadio al posto della zia. Poi una quantità infinita di antipasti che si finiva di mangiare attorno alle due del pomeriggio. Due primi logicamente, i ravioli di mia madre sui quali iniziava la solita discussione, ovvero col sugo alla genovese o al ragù? Destino di chi ha un padre filo-emiliano e una madre genovese. In tavola venivano portate due "fiammanghille" di ravioli conditi in tutte e due le maniere, l'unica cosa che avevano in comune è che non ne rimaneva nemmeno uno. 
In mezzo spesso si mangiava il pinzimonio, si diceva per depurarsi un po'. Poi come nei migliori incontri di box, fuori i secondi. E allora via con arrosto al sugo, patatine, salsa verde e l'immancabile cima. Per quelli che non erano sazi ci pensava la zia irrompendo in sala con la fatidica domanda "chi vuole un po' di carne fritta". 
La firma finale veniva messa dalla frutta secca e dai dolci che comparivano in tavola verso le quattro e mezza cinque, seguiti dai giochi che noi bambini richiedevamo a gran voce. Tombola, mercante in fiera e settemezzo. 
Verso sera poi tutti si dicevano sazi, ma bastava che uno iniziasse a mangiare qualche raviolo riscaldato per far ripartire la macchina instancabile della cucina. 
Gli unici intervalli tra una portata e l'altra erano riempiti da noi ragazzi che insieme a mio zio cantavamo canzoni in genovese. Niente chat, niente foto ai piatti, tanti bei dialoghi, risate sane e racconti. 
Ora quello che posso fare io è cercare di bagnare le radici di questa tradizione e trasmetterla a Greta, nella speranza di riuscirci almeno un po'. 
Buon Natale e buone feste ragazzi. 
E che si sappia nella foto i seicento ravioli appena fatti da mia madre e io preferisco il sugo alla genovese.
giovedì 13 dicembre 2018 21 vostri commenti

Quando abbiamo smesso

Non credo di riuscire a ricordare l'ultima volta in cui sono stato bambino. Ho finito da poco il libro di Fabio Bartolomei "L'ultima volta che siamo stati bambini", una storia di piccoli spettatori degli orrori della seconda guerra mondiale, un'avventura che pagina dopo pagina assomiglia ad un rito di passaggio all'età adulta. 
La memoria mi tradisce e non ho la totale certezza di fatti che sono successi ormai tanto tempo fa, ricordi veri o racconti che ho sentito, un dubbio difficile da risolvere. Torna alla mente allora l'immagine di un primo funerale di una bisnonna, oppure il primo trasloco e il distacco da quella che per anni era stata casa nostra. Un cambiamento radicale da un quartiere ad un altro.
Forse il primo bacio  dato dietro ad una siepe con i compagni di classe a qualche metro a fare  tifo da stadio come in gradinata sotto la finestra di un'incolpevole signora che in pochi attimi ci ha ricoperto di insulti. Oppure la prima delusione d'amore e quel dolore che sembrava infinito, o semplicemente la prima volta che mi sono innamorato.
Chissà, magari non ho mai smesso di esserlo. 
Una speranza.

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