Una particolare meraviglia
Lo dico prendendo a prestito le parole di Mario Andrade, poeta brasiliano.
Ho contato i miei anni e ho scoperto che ho meno tempo da vivere da qui in avanti di quanto non ne abbia già vissuto.Mi sento come quel bambino che ha vinto una confezione di caramelle e le prime le ha mangiate velocemente, ma quando si è accorto che ne rimanevano poche ha iniziato ad assaporarle con calma.
Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente… Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che nonostante la loro età anagrafica non sono cresciute.
Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità. Non voglio esserci in riunioni dove sfilano persone gonfie di ego.
Non tollero i manipolatori e gli opportunisti. Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati. Odio, se mi capita di assistere, i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso. Le persone non discutono di contenuti, a malapena dei titoli.
Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli. Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta… Senza troppe caramelle nella confezione… Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana. Che sappia sorridere dei propri errori. Che non si gonfi di vittorie. Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo. Che non sfugga alle proprie responsabilità. Che difenda la dignità umana e che desideri soltanto essere dalla parte della verità e l’onestà.
L’essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta. Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone. Gente alla quale i duri colpi della vita hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima.
Sì… Ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare. Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono…
Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora.
Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza. Spero che sia anche il tuo, perché in un modo o nell’altro ci arriverai.
Nella notte tra sabato e domenica una "squadraccia" di fascisti è entrata al Leonardo da Vinci, una scuola di Genova occupata dagli studenti su votazione dell'Assemblea.
Un attacco vergognoso che non nasce per caso. Ieri a Predappio ennesimo insulto alla Costituzione con saluti fascisti.
Ciò che sta succedendo in questo paese richiede unità. Il movimento nato a sostegno della Flottilla non va disperso, ha bisogno di sostegno da parte di tutti e deve ergersi a difesa della Costituzione.
Al di là di bandiere e terreno di conquista.
Per il bene dei deboli e di chi verrà dopo di noi.
Ognuno nel suo piccolo si attivi per dare una speranza ai ragazzi.
I tempi del "tanto non serve a niente"
Clarissa Pinkola Estés
Un anno fa, dopo la morte di mamma, Greta mi disse “ora papà dobbiamo aspettare la cicatrice ma non dimenticare”.
Mi porto dietro da tempo un bagaglio a mano di parole di cura, medicine da prendere al bisogno, rilasciate nel tempo da stelle che ho incontrato.
Queste su tutte.
E’ dura però, perché certe cicatrici impiegano tanto per rimarginarsi. Hanno bisogno di cura, la stessa che mamma con il suo sorriso, anche nella drammaticità di una malattia degenerativa, riusciva a donare.
Ora il vuoto è tanto, ed io, abituato a voler sistemare le cose, di fronte a questo arranco.
Così i bei ricordi si mischiano a troppe immagini di dolore di un anno fa. Fotogrammi difficili da dimenticare.
Come quella notte tra il 21 e il 22 agosto, papà che accarezzava la donna che ha amato per tutta la vita, guardarmi chiedendomi se era finita davvero.
Ora proviamo ad andare avanti, scorrendo le immagini di una vita, come seduto guardando dal finestrino del treno. Amavo farlo da piccolo.
Col ricordo a quella sensazione che ancora sento “se mi stringi forte fino a ricambiarmi l’anima”.
Ma è un film che va di fretta.
E io sono alla ricerca della pausa.
Magari per un fotogramma.
Il tuo sorriso.
A Genova questi 3 giorni di luglio non saranno mai giornate normali.
24 anni fa nella mia città venne sospesa la democrazia e le strade si trasformarono in una macelleria legalizzata, un piano premeditato per distruggere un movimento che faceva paura, perché in grado di smuovere coscienze, risvegliare i popoli da un torpore, aprendo gli occhi su ciò che poi stiamo vivendo in questo momento.
Quei ragazzi avevano ragione. Avevamo ragione e ci hanno massacrato.
Una lezione impartita con tanto di spartito scritto dal Governo Italiano. Manifestazioni autorizzate attaccate dai blindati.
Temo che oggi pochi sappiano di quelle giornate e si rendano conto di ciò che è successo a Genova, derubricando tutto con la solita frase "se la sono cercata".
La frustrazione è tanta vedendo gli eredi di quel governo ancora al potere, sapere che tutti quelli che commisero dei crimini sono stati promossi.
Abbiamo il diritto e il dovere di ricordare cosa furono quei giorni, ricordare la Diaz e la macelleria da dittatura, ricordare la Caserma d Bolzaneto dove ragazze e ragazzi vennero torturati.
Ricordare, ricordare.
Così scriveva Eduardo Galeano nel Libro degli abbracci.
Siamo spesso travolti dalla frenesia della quotidianità. Immersi in un universo parallelo che ormai la realtà digitale ci ha convinti essere l'unica possibilità di relazione. Arrivati al punto che troppe volte perdiamo i volti e i nomi delle persone. Che passano così rapidamente da non lasciare il segno.
Ma noi siamo se esistiamo al plurale.
Alla ricerca di punti fissi nella nostra vita, pensando a quelli persi, cercando di ricordarli e percorrere i sentieri che ci hanno lasciato.
Una cosa è certa. Dopo questa tornata referendaria almeno ognuno di noi, che si è speso per i diritti degli altri, avrà ben chiaro con chi continuare a rimanere in rapporti e chi tagliare fuori.
Non c'è più spazio per qualunquisti, fascisti, razzisti, opportunisti, menefreghisti, ignoranti ed egoisti che guardano solo al loro praticello di casa.
Grazie a chi ci ha creduto, ci ha provato e nonostante tutto continuerà a lottare per i più deboli, con sempre meno strumenti, anche se credo che in questo paese, ma non solo, ormai la speranza sia difficile da trovare anche nel dizionario.
Ovviamente la destra sta già pensando di portare ad 1 milione le firme necessarie per chiedere un referendum.
Non ve la meritate la democrazia.
“Non so dove vanno le persone quando scompaiono, ma so dove restano” scriveva Antoine de Saint-Exupéry.
Già, è come se ogni posto alla fine tenesse una traccia, un sentiero battuto più volte che riporta alla mente diversi ricordi.
Non sappiamo dove vanno, ma cosa hanno fatto si. Sappiamo bene cosa hanno trasmesso, lasciando una polverina magica, come quella delle fate, che al tocco del ricordo ci fa volare.
Il presente è già passato, corrono uno incontro all’altro e si abbracciano.
Infinitamente.
I libri sono fatti così, ti aspettano.
Li compri, li sistemi negli scaffali oppure sul comodino.
Se ne possiedi troppi ti affanni a cercare un posto, pur sapendo che non ce n’è più.
A volte li leggi subito altre invece stanno in una sorta di anticamera.
Attendono i tempi giusti.
Così capita di riprendere in mano un classico, proprio nel giorno, 15 marzo, in cui quell’amico nelle parole di Uhlman fece il passo in avanti.
E poi quelle righe capaci di dipingere una madre, che riportano alla mente una sera di 17 anni fa quando quegli occhi erano di un azzurro color cielo, in grado di dirmi “va tutto bene”.
Nonostante tutto, nonostante il dolore.
“Non dimenticherò mai la sera in cui — avevo sei o sette anni — entrò in camera mia per darmi il bacio della buona notte. Indossava un abito da ballo e io la fissai come se fosse stata un'estranea. Mi aggrappai al suo braccio, rifiutandomi di lasciarla andare, e cominciai a piangere, cosa che la turbò molto.
Chissà se capì che non ero né infelice né malato ma che, per la prima volta nella vita, la vedevo obiettivamente com'era: una donna attraente con un'individualità tutta sua”
L’amico ritrovato.
"ogni cosa, cadendo, continua a cadere, anche quando ormai ha toccato il suolo. Perché di ogni cosa, in fondo, conta il peso. E poi una sospensione dell'angoscia, persino un calore, una specie di vago senso di Natale".
Si può lasciare alle spalle la propria famiglia. Chiudere la porta un giorno, dando dei giri di chiave definitivi. Mettere migliaia di chilometri di distanza.
Per salvarsi, si.
Leggere il libro di Bajani, "L'anniversario", è come prendere piccoli pugni nello stomaco pagina dopo pagina. Una salita faticosa, il fiato che manca, affanno, paura di non arrivare in fondo.
Una storia di violenza piscologica e fisica tra le mura domestiche. Inconcepibile per ciò che io ho vissuto, per ciò cha rappresenta per me la famiglia. Un rifugio sicuro.
Eppure è possibile.
Uno stile di scrittura che guida il lettore fino alla fine all'uscita di sicurezza.
Prendendo respiro, aria cha a volte passa anche attraverso un dolore.
C'era una volta la lettera
“Le lettere si conservano per non leggerle più: una buona volta, poi, per discrezione, si distruggono, e svanisce così, senza che noi o altri mai più si possa recuperarlo, il più leggiadro e spontaneo fiato di vita”






- Follow Us on Twitter!
- "Join Us on Facebook!
- RSS
Contact