Un uomo.
Espressione seria, due figli piccoli, moglie e madre da mantenere.
Partito da Lalamusa, Pakistan, uno di quei paese dove noi occidentali ogni tanto andiamo, facciamo un po' di casino e poi lasciamo le macerie.
Non riusciva a trovare un lavoro stabile, un problema se le bocche da sfamare diventano tante. Non come cercare posto sotto casa alla sera, un problema vero, serio.
Prima di imbarcarsi da Tobruk, Libia, ha telefonato al cugino. Doveva raggiungerlo in Norvegia. Non era solo, c'erano 4 amici con lui.
E' naufragato il 14 giugno, davanti alle coste della Grecia, disperso.
Si chiamava Moshin Shazad aveva 32 anni.
Un uomo, non un numero.
Non sappiamo nemmeno il numero esatto, perché fondamentalmente ormai il mondo da per scontato che quelle morti facciano parte della normalità.
Più di 600 persone morte in fondo al mare.
100 bambini. La strage più grande del mediterraneo che verrà dimenticata in pochi giorni.
Questa è una società che ingoia tutto. Un pensiero individualista che ormai troviamo in ogni angolo della strada, che porta le persone a dire "l'importante è che io sia al sicuro". Il resto non conta.
Ci stiamo dimenticando di "quel resto". Non siamo più umani. L'Italia si è fermata per sette giorni che rimarranno una vergogna storica, mentre tira dritto senza voltarsi davanti alle violenze, alle morti sul lavoro e alle persone che affogano mentre stanno cercando una speranza.
E' notte.
Fonda.