In giro se ne vedono sempre meno. Lentamente le stanno dismettendo.
Testimoni di salvataggi dagli acquazzoni.
...aggirandosi nelle vie naufragando tra le esperienze quotidiane...
In giro se ne vedono sempre meno. Lentamente le stanno dismettendo.
Testimoni di salvataggi dagli acquazzoni.
Ho avuto la fortuna di incontrare ottimi maestri durante la mia vita. Persone che hanno tracciato un sentiero, dove mettere i piedi ben saldi, dove i pericoli vengono superati grazie ad una mano tesa, all'attesa di chi rimane indietro, chi non ce la fa, chi vede il traguardo sempre più distante.
Sto ancora imparando e cercando di mettere in atto nel quotidiano piccoli gesti di bellezza a partire dall'ascolto.
Sempre più spesso in ambulatorio mi capita di ricevere persone che, oltre al loro problema specifico dettato dalla disabilità, hanno bisogno di essere ascoltate. Per ciò che sono, per ciò che vivono sulla loro pelle.
A volte sembrano quasi voler chiedere scusa per questa necessità di parlare, raccontarsi, trovare un luogo sicuro dove ricevere ascolto.
Il mondo, però, sembra andare in direzione contraria, la fretta e l'individualismo in primis portano le persone a non accorgersi di chi su ha davanti e chiede di essere visto.
Ricordo quell'agosto da bambino. Un mese particolare, perché l'estate si avviava verso la fine ma contemporaneamente entrava in quel periodo dell'anno tanto atteso.
Ricordo i pranzi interminabili sotto il sole in mezzo alla spiaggia. L'ombra non era contemplata e le lasagne diventavano inspiegabilmente un piatto estivo.
Ricordo le attese infinite al campetto di calcio per cercare di giocare almeno qualche minuto quando i "grandi" ce lo concedevano.
Ricordo guardie e ladri interminabile in mezzo alla cabine, le corse a perdersi con la fidanzatina per rubare un bacio.
Ricordo l'assenza della paura quando andavamo incontro alle onde, seduti in fila indiana in un trenino che andava incontro ad una montagna d'acqua salata. E chi si alzava beh, lo sapete.
Ricordo il gusto dei ghiaccioli, diverso. La ricerca dell'orzata e la faccia stranita di chi lo cercava nel frigo.
Ricordo quei sandali che lasciavano l'abbronzatura a quadretti. Imbarazzanti.
Ricordo che era agosto, vero. Le città assomigliavano al deserto, perché la vacanza era quella e basta. Il tempo era vissuto, lento.
Ritrovarsi 22 anni dopo in piazza Alimonda. La stessa strada dove son cresciuto.
I gradini di quella chiesa, saluti e scesi di corsa.
Gli aperitivi nel bar più famoso di Genova, dove tutti hanno imparato a bere e a far bere.
Ora quei volti stanchi, segnati dal tempo. Rassegnati e mai domi.
Perché avevamo ragione e ci hanno massacrato.
“Stanco e perduto. Di colpo mi sento vecchio, il doppio dei miei anni, e penso che anch'io sono stanco e mi sto perdendo per davvero. Poi penso a lei che, nella stanza accanto, dorme un sonno stregato, lei che da madre si è trasformata in una fitta all'altezza dello sterno.”
Non sappiamo nemmeno il numero esatto, perché fondamentalmente ormai il mondo da per scontato che quelle morti facciano parte della normalità.
Più di 600 persone morte in fondo al mare.
100 bambini. La strage più grande del mediterraneo che verrà dimenticata in pochi giorni.
Questa è una società che ingoia tutto. Un pensiero individualista che ormai troviamo in ogni angolo della strada, che porta le persone a dire "l'importante è che io sia al sicuro". Il resto non conta.
Ci stiamo dimenticando di "quel resto". Non siamo più umani. L'Italia si è fermata per sette giorni che rimarranno una vergogna storica, mentre tira dritto senza voltarsi davanti alle violenze, alle morti sul lavoro e alle persone che affogano mentre stanno cercando una speranza.
E' notte.
Fonda.
Sembra un film già visto ciò che sta succedendo in Rai. Terreno di spartizione politica da sempre, con modalità differenti che ci hanno visto testimoni.
Come dimenticare il diktat di Berlusconi contro Biagi, Santoro e Luttazzi. Oppure i continui attacchi, nemmeno troppo velati, a Report. Questa volta è toccato a Fabio Fazio e la sua trasmissione. Non sono un suo fan, guardavo anni fa le prime versione di Quelli che il Calcio, quando quello sport sembrava ancora mantenere una sorta di romanticismo. Ho apprezzato parecchi speciali di Che tempo che fa e ospiti vari ma non sono uno spettatore costante.
Ma non è questo il punto.
Bisognerebbe davvero domandarsi che idea ha la destra di servizio pubblico televisivo visto che a breve gli attacchi si dirigeranno probabilmente su Report. Per non parlare del fatto che una politica che si permette palesemente di esultare per la cacciata di qualcuno da una canale di stato, cosa potrebbe fare, e fa, invece con chi non ha la visibilità di Fabio Fazio?
Questo è il punto.
Ma non è la prima volta. Il governo, e nn solo, vuole lo Yes man. Non gradisce il giornalismo di inchiesta, non vuole mente pensanti ma sudditi perennemente inginocchiati, con la capacità solamente di leggere la velina di turno.
Ricordo bene il periodo del berlusconismo. Pensavamo di vivere il momento più basso della storia della Repubblica. Ci sbagliavamo. Perché quel momento non è mai terminato.
Abbiamo le prove.
Bella ciao!!!
Come va poi coi fascisti?
Ce ne sono ancora?
No dai… al governo quelli?
Eppure nella costituzione c’è scritto che… ah lo hanno interpretato.
Almeno dimmi che i busti del Duce son spariti? Come? In casa del Presidente del Senato!!!
No dai quello là Presidente del Senato?!? Non è possibile.
E magari c’è anche chi dice che le ragioni di chi combatteva erano uguali da una parte e dall’altra, chi parla ancora di sostituzione etnica.
Ecco…
Ma allora noi perché abbiamo sacrificato le nostre vite? Come avete potuto fare questo?
Avete dimenticato…
Il Fascismo non è mai sparito da questo paese.
Li abbiamo cacciati già una volta e lo faremo sempre.
W il 25 Aprile.
W la Resistenza.
Cosa c'è rimasto di umano nei nostri posti di lavoro? La frenesia, i problemi di bilancio, l'avidità, l'individualismo e il classismo occupano le stanze e i reparti indirizzando le relazioni tra le persone.
Viviamo realtà davvero difficili, non parlo solo della Sanità, settore dove lavoro, ma della maggior parte dei posti. Mi capita spesso, facendo anche il sindacalista, di ascoltare storie di lavoratori stanchi, in preda al burnout, impauriti, legati alla propria professione ma frenati dai continui richiami solo alla produttività, direzione che può portare solo alla scarsa attenzione verso le persone.
E' un treno impazzito che si sta dirigendo contro un muro alla massima velocità. Spesso ci si sente inermi, accerchiati da chi ha perso, o nn ha mai avuto, l'uso dell'ascolto. Chi da per scontata la presenza delle persone, a prescindere, senza mai un riconoscimento non solo monetizzato ma umano.
Dicono che mancano i soldi. Però gli stipendi dei dirigenti non si toccano mai. Una crisi pagata, come sempre, solo da chi sta in fondo alla scala.
Conosco persone a rischio stipendio che per il bene della propria utenza vanno avanti, convinti di ciò che stanno facendo, del bene che può portare una professione.
I piani alti però, gli stessi che ci hanno raccontato che le ideologie sono morte, che le classi non esistono, non sanno fare altro che tagliare, licenziare, togliere servizi utili alla società ma poco redditizi. Le Istituzioni sono sorde, si voltano dall'altra parte.
Vi faccio solo un esempio. Sapete chi paga in ritardo i servizi di molte cooperative o enti? A volte non pagando nemmeno. I comuni e le Regioni.
Una vergogna istituzionalizzata.
Luciano, un grande amico indimenticabile, mi aveva aperto gli occhi sull’importanza del camminare. Alzare lo sguardo per osservare intorno, vedere ciò che sta sopra al nostro naso, come una volta ci disse Danilo in un laboratorio di Stranitá.
Oggi ho fatto un bel po’ di strada a piedi, mentre i passi avanzavano pensavo alla fretta di ogni giorno che porta a tralasciare anche i piccoli gesti quotidiani di bellezza, quelli che Anna ci ha insegnato a ricercare.
Ecco allora i semafori che lasciano spazio ad una mamma che insegna a camminare alla figlia, un nonno felice che porta sulle spalle la nipotina e la gentilezza di chiedersi scusa.
È tempo anche di elenchi di bellezza.
Facciamoli.
È difficile essere padre così come è difficile essere figlio.
Non ci sono manuali di istruzioni, consigli da seguire, tecniche e strategie.
Ci sono scelte quotidiane, porte scorrevoli, domande e tanti dubbi, attimi meravigliosi, momenti di difficoltà.
Periodi in cui ti chiedi se c’è la farai ad essere un buon padre, presente, pronto all’ascolto, in continua analisi del tempo. Controllando quei centimetri d’altezza che salgono e quelle frasi come quella di stasera che ricordano lo scorrere del tempo.
“Papà siediti vicino al letto per raccontarmi la favola”.
E poi giorni in cui ti domandi se stai facendo abbastanza per tuo papà, lui che ha dedicato l’intera vita per far stare bene tutti noi. Lui così difficile da aiutare, uomo di una volta con in dosso, anche se non si vede, una tuta blu. Ora così affaticato per ciò che la vita ha destinato alla mamma.
La mia fortuna è quella di aver davanti un cammino tracciato da un uomo che mi ha insegnato quanto sia importante esserci per gli altri.
Per non sentirsi soli.
Figlio e Padre.
“Noi sappiamo che siamo diverse dalle altre atlete. Ma non vogliamo dimostrarlo. Facciamo del nostro meglio per sembrare come loro. Sappiamo di essere ben lontane da quelle che gareggiano qui, lo capiamo benissimo. Ma più di ogni altra cosa vorremmo dimostrare la nostra dignità e quella del nostro paese.”
Samia Yusuf Omar, velocista somala presente ai giochi olimpici del 2008, annegata il 2 aprile 2012 nel mediterraneo mentre cercava di attraversarlo su un’imbarcazione diretta a Lampedusa.
Non dobbiamo meravigliarci del duetto al Karaoke di Salvini e Meloni.
Sono quella roba lì da sempre.
Gente che gioca con la vita delle persone.
Che usa la paura per arrivare al potere lasciando dietro una scia di morte.
Che canta una canzone di De André senza capire che quelle parole non fanno per loro.
Ciò che spaventa è il contorno, chi li vota e continua a farlo, chi si volta da anni dall’altra parte, chi è fascista e razzista, chi ha già dimenticato Cutro al caldo con la sua televisione a 52 pollici.
Chi ogni giorno affoga Marinella.
Eo, sinjuri, s'eo fabello,
lo bostru audire compello:
de questa bita interpello
e ddell'altra bene spello.
Poi ke 'nn altu me 'ncastello,
ad altri bia renubello
e-mmebe cendo [e] flagello.
Et arde la candela, sebe libera,
et altri mustra bia dellibera.
Uno dei primi componimenti in volgare del ‘200. Un Ritmo in cui si parla della strada mostrata agli altri, di chi si prodiga, o se vogliamo chi aiuta e sostiene nel momento del bisogno.
Così come la candela mostra la strada libera e nel frattempo si consuma.
Chi fa luce però ha bisogno di un’altra candela.
"...a volte la follia sembra l'unica via per la felicità..."