Le malattie degenerative si muovono nell’ombra, quasi in punta di piedi, senza farsi annunciare.
Il giorno prima una cosa funzionava, quello dopo un po’ meno.
Si è spesso inermi testimoni con il desiderio di fare qualcosa.
Diventa quindi una vita di elenchi.
Quello delle cose fatte e da fare. Quello delle speranze impossibili. Quello delle visite spesso piene di paroloni, a volte numeri in una stanza d’ospedale, altre invece incontri con splendidi operatori.
L’elenco delle medicine da prendere e da evitare.
Quello ristretto delle persone su cui puoi contare.
Quello lungo delle persone sparite, delle telefonate che non arrivano più e del silenzio. Forse perché non vedendola la malattia fa meno male.
Poi il ricordo di ciò che era, come la voce di mia mamma, che a tratti ora non c’è più e che fatico a ricordare. Quel suo sguardo come a voler dire basta. Quelle dita lente che si muovono su un comunicatore così freddo per delle relazioni che ancora vogliono esistere.
Anche le risate per un buffo modo di parlare tutto nostro.
È così.
Si vive al minuto, felici di esserci, cercando di fermare il pensiero pericoloso dell’ andare avanti nel tempo.
Rabbia e dolore cercano di prendere spazio, a volte riuscendoci, altre invece respinti da sorrisi resistenti. Con la consapevolezza di soffrire ora ma di poter dire, poi, che il possibile è stato fatto.