In casa mia il momento del pranzo o della cena è sempre stato una sorta di rito. Primo, secondo, contorno e dolce immancabili. Impensabile sedersi e non mangiare una portata.
Ricordo ancora le pentole sul fuoco messe da mia madre, il ragù cucinato per ore "perché più cuoce più è buono", la quantità incredibile di pasta buttata per me e mio fratello, adolescenti con una fame interminabile. Per non parlare del minestrone freddo lasciato sulla tavola con il mestolo in mezzo come una sorta di spada nella roccia.
La domenica era il momento della pasta fatta in casa, un appuntamento fisso. Gnocchi, taglierini, taglierini verdi, tagliatelle, lasagne. Ci divertivamo ad aiutare nostra madre e in caso si facessero ravioli o tortellini anche mio padre, in onore delle sue origini emiliane. Un piccolo pezzo di pasta, la rondella per tagliare e via con la macchina per fare la sfoglia.
Poi quei piatti che ho ancora ben presente. Carne fritta al sugo, rotolo di carne tritata con uovo in mezzo, carne patate e prosciutto, patate al forno con la besciamella, trippe con patate e fagiolane, stoccafisso, spezzatino in bianco e al pomodoro. Un menù senza fine.
Si andava a mangiare fuori di meno, capitava nei momenti particolari, una festa, una ricorrenza, una riunione di famiglia. Il momento del pranzo era davvero importante nei preliminari. Mia nonna, che non sapeva cucinare, si occupava della tavola, i tovaglioli ognuno col suo portatovagliolo, i piatti, i bicchiere. Come potrei dimenticare l'acqua di Vichy, quando era ancora buona intendiamoci.
Profumi che non si possono dimenticare, che ancora adesso in parte ritrovo nei piatti che mio padre ha imparato a ripetere e io come lui ogni tanto provo, cercando di dare la giusta importanza al momento in cui ci sediamo davanti ad un piatto che oltre al gusto ha una storia.