"Al nostro terzo appuntamento lui mi ha fatto una proposta inattesa: 'Possiamo non scriverci messaggi?'". Questa la prima frase di un articolo apparso sulla rivista New York il mese scorso firmato da Clara Artschwager.
Non vuole essere un elogio ai tempi andati secondo me, ma una riflessione su quelle che erano le relazioni umane. Pensiamo al corteggiamento ad esempio, all'ansia consumata nelle ore che ci dividevano da un incontro, il pensiero alle lancette che scorrevano veloci portandoci alla tanto odiata ora del saluto.
Una pausa di presenza che ora non è possibile, una vicinanza digitale che rischia anche di confondersi con quella fisica, reale.
Dovevi dirti tutto e subito, non c'erano prove d'appello, non c'era il messaggio che ti concedeva un'altra chance, ma solo tanti pensieri alla frase detta, ripensamenti o sorrisi che potevano trovare conferma solo il giorno dopo, corse verso citofoni, pulsanti premuti e una voce, quella di un padre o una madre, che fungevano da spartiacque tra te e la fidanzata.
Per non parlare delle lettere o dei bigliettini, messi negli zaini ritrovati a casa in mezzo al diario, frasi scritte sui banchi cancellate e poi riscritte. Dediche messe nero su bianco nelle pagine dei giorni di festa dove non c'erano i compiti, foglietti ritrovati magicamente sui motorini a volte, per i più romantici, con una rosa.
Emozioni senza Giga.