...di spiriti liberi, di sguardi fieri, di teste pensanti, di no gridati ai potenti, di spiriti critici, di mode da non seguire, di linee da non tirare, di marce da fare, di diritti da difendere, di muri da abbattere, di vie da trovare, di gradini da salire, di schemi da evadere, di regole da cambiare, di mani da stringere, di cuori da far battere, di emozioni da provare, di filtri da togliere, di rami da riparare, di radici da mantenere, di occasioni da cogliere, di fogli da scrivere, di parole da difendere, di prigioni da liberare, di occhi da incrociare, di frasi da dipingere, di colori da accogliere, di favole da vivere.
lunedì 27 marzo 2017
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teatro sociale
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TemporaneaMente Presenti (è già qualcosa)
Parleremo del Tempo. Sia chiaro non quello delle conversazioni in ogni ascensore grazie al quale spesso ci togliamo dall'imbarazzo del silenzio.
Quello che passa, che scorre per ognuno di noi in maniera differente, diverso a seconda del nostro stato d'animo, del momento, della vicinanza o della lontananza di qualcuno.
Minuti che passano in maniera differente per chi ha una malattia, per chi la combatte, per chi ci convive, per chi la condivide o la affronta da solo in una camera d'albergo.
Secondi che scorrono lenti se tra quattro mura di un manicomio, fermati dalle sbarre e dall'indifferenza.
Ore che hanno un gusto particolare mentre le lancette si spostano nel cuore della notte, oppure se le guardiamo girare semplicemente alla fermata dell'autobus.
Tempo che troppo spesso buttiamo via in sciocchezze quando lo abbiamo, al quale dovremmo dare molto valore, impiegarlo con chi amiamo, con chi ci strappa un sorriso facendo cose che desideriamo.
Domani saremo in scena al Teatro della Tosse di Genova con il Gruppo Teatrale Stranità del Teatro dell'Ortica. Un gruppo formato da più di 30 persone, composto da attori, pazienti psichiatrici, educatori, cittadini e volontari.
Il tempo scorre, ci siamo quasi.
Sintonizzate gli orologi.
lunedì 20 marzo 2017
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Sessismo di stato
Potremmo parlare per ore della pochezza di una tale immagine. Stereotipi, luoghi comuni, dicerie, razzismo e sessismo.
Sono parecchie le cose che danno fastidio in un elenco del genere. Il fatto che a metterlo in onda sia stata una televisione di Stato, ma il giudizio sarebbe stato uguale se a farlo fosse stato un privato. Che certa gente prenda uno stipendio non da poco per mandare in onda elenchi del genere. Per non parlare del fatto che purtroppo molte persone a quello cose credono davvero.
Non bastano giornate contro la violenza sulle donne, che è bene ricordare non è solo fisica.
Serve una rivoluzione culturale.
Ma forse potrebbe non bastare.
Ciò che sta succedendo in Liguria potrebbe essere il triste riassunto dell'attuale condizione di questo paese.
La Regione sta mettendo in atto un programma di smantellamento del servizio sanitario pubblico, un diritto del quale godiamo dal 1978, prima c'erano le "mutue" e "casse mutue" varie. Un esempio di civiltà per molti, un carrozzone per altri.
Un sistema da migliorare certamente ma non da smantellare. Il disegno di molti governatori, tra cui Toti che scrive le leggi regionali in Lombardia per poi leggerle qui da noi, è proprio quello di limare sempre più servizi al pubblico in modo da aumentare il disagio agli utenti per aumentare il sostegno alle privatizzazioni.
Intanto bisognerebbe iniziare a dire che non è vero che privato è meglio.
Spesso vuole dire contratti vergognosi per i dipendenti. Qui da noi ad esempio ce ne sono 28!!! Le associazioni datoriali prendono in giro i lavoratori proponendo contratti a 40 ore settimanali con aumenti di 28 euro lordi e diritti limati, come la maternità!!!
Spesso privato significa tariffe proibitive per molti, servizi per i pochi intimi, per non parlare di personaggi a capo di ospedali che poco hanno a che fare con la missione sanitaria.
I personaggi che ora sono al governo qui in Liguria però lo avevano detto che avrebbero smantellato il sistema sanitario, il problema è che molti li hanno votati e soprattutto quelli che prima erano al loro posto hanno dato per scontato di rimanerci per sempre proponendo personaggi imbarazzanti che fanno a gara per dire cose più di destra dell'altro.
Il risultato è questo.
I primi a rimetterci saranno i lavoratori ritenuti esuberi o fastidi e i cittadini che dovranno subire tariffe sempre più alte.
Quando non ci sarà più allora ci ricorderemo di quanto era importante il nostro Servizio Sanitario Nazionale.
50 anni cuoca in un asilo.
50 anni a 40 ore settimanali.
53 anni addetta alla pulizia delle stanze.
53 anni a 40 ore settimanale.
50 anni e 53 anni a 1100 euro al mese, lorde.
Occasionale. "Che offre occasione, motivo, talora anche pretesto, a qualche cosa... Che dipende da un’occasione, che nasce dalle particolari circostanze, e quindi non voluto o cercato appositamente, casuale, fortuito".
Lo dice la Treccani, non io. Lo dice la logica e anche la legge, ma spesso si gioca con le parole e allora sul sito dell'inps troviamo il neologismo lavoro accessorio.
La realtà dei voucher è che nella maggior parte dei casi non vengono utilizzati per lavori occasionali, ma per lavori che rientrano nelle normali mansioni che potrebbe svolgere un dipendente in organico o assunto con tutte le tutele.
Voucher significa instabilità, mancanza di sicurezza, ricatto, mancanza di tutele, meno contributi.
I dati parlano chiaro nel 2014 sono stati venduti 69 milioni di voucher, nel 2015 115 milioni di voucher e nel 2016 133,8 milioni di voucher. I maggiori fruitori sono spesso le multinazionali che hanno conti tutt'altro che in rosso.
Il lavoro c'è, manca una serie legge che lo tuteli e che spinga le azienda ad assumere con sgravi a lungo termine e incentivi di diversa natura. Manca un intervento deciso sull'evasione fiscale che permetterebbe di andare ad investire invece sul lavoro e chi è in grado di fornirlo.
Aspettiamo una risposta per la data dei referendum per abolirli. La politica non può credere di avere trovato la soluzione in un pezzo di carta da cambiare dal tabacchino.
mercoledì 1 marzo 2017
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C'era una riVolta
1 marzo 1968, Valle Giulia, Roma.
Spesso mi domando dove sia finita tutta quella partecipazione che tra gli anni sessanta e settanta invadeva le piazze e le vie delle città.
Manifestazioni spontanee nate al momento, coinvolgimento di gruppi a 360 gradi nella vita delle persone, movimentismo a volte anche esagerato, assemblee interminabili dove l'esserci voleva dire esistere, dove parlare significava fare parte di qualcosa.
Ci sono stati degli sbagli, degli errori, delle vie sbagliate prese, in alcuni casi anche troppa violenza verbale e fisica. Senza quei movimenti e quegli anni molte delle cose di cui ora godiamo non ci sarebbero. Alcuni degli interpreti si sono persi, altri sono diventati ciò che odiavano, altri ancora hanno conosciuto la clandestinità per la scelta della lotta armata, altra magari in questo momento quando vedono una manifestazioni scuotono la testa o si commuovono.
Di certo c'è che adesso non esiste più quella partecipazione, per alcuni il massimo sforzo coincide con un "mi piace" messo on line e al limite una condivisione. Prima gruppo significata un'insieme di persone che si vedevano, discutevano, si arrabbiavano anche ora per molti vuol dire solo tanti contatti su un social.
Quella che in quegli anni voleva essere un rivolta politica ha finito per essere una rivoluzione più che altro sociale. Oggi le tematiche sono ancora presenti, ma le piazze latitano così come probabilmente le coscienze.
La morte di una persona, la scelta di morire non dovrebbe essere una questione da social network, ma un fatto privato, una decisione privata, una scelta appunto fatta nell'ambito di una legge dello Stato che dovrebbe aiutare invece di aggiungere ulteriori difficolta.
Invece come sempre qui tutto si fermerà a qualche polemica sui Facebook, con tanto di fazioni schierate e ancora una volta passerà tutto dopo pochi mesi. Qui dove esiste una legge che giace in parlamento da tre anni tra pochi giorni questa notizia sarà ancora dimenticata lasciando spazio all'argomento di turno. Questi dovrebbero essere temi da movimento di piazza, ora rientrano purtroppo nelle discussioni da commento sul web, qualche mi piace buttato qua e là e poi il silenzio. Abbiamo messo da parte la partecipazione, che costa fatica e impegno.
Il nostro è un paese fermo per tali questioni ancora bloccato da una presenza della chiesa cattolica e da un retaggio che influisce sulla maggior parte dei politici e non solo. E' una lotta infinita quella da fare contro chi vuole vietare tutto. Ora il pensiero va a quella famiglia che oggi ha dato addio al proprio caro, dovendo superare anche questa difficoltà.
E' ancora con noi il mangiadischi.
Sopravvissuto a tre generazioni di vandali in formato mignon. Utilizzato da mio fratello e me, poi dai nostri cugini piccoli, dai suoi figli e molto probabilmente tra poco da mia figlia.
Quando la parola streaming non era nemmeno nei lontani nostri pensieri, ed uno dei giochi più gettonati era quello del disc jockey.
Magari mi sbaglierò ma gli oggetti sembravano avere una personalità una volta, a partire dai nomi. Senza nessuna sigla 2.0, nessuna versione, né aggiornamento ma tanto di nome e cognome. Mangia Dischi.
Il resto è tutta una storia di pressione sul tasto Espelli, testimone delle impronte digitale di innumerevoli generazioni.
"No, veramente, non mi va. Ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri. Senti, ma che tipo di festa è? Non è che alle dieci state tutti a ballare i girotondi e io sto buttato in un angolo, no? Ah no, se si balla non vengo. No, allora non vengo. Che dici, vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate: "Michele vieni di là con noi, dai", e io: "andate, andate, vi raggiungo dopo". Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo. Eh no, sì. Ciao, arrivederci. Buonasera."
Non dedico molto tempo alle vicende del Pd, ma quello che sta succedendo nella direzione di casa Renzi ha qualcosa di cinematografico, di teatrale. Con personaggi caratteristici che lasciano intendere di voler fare le valigie per poi ripensarci all'ultimo minuto quasi sul pianerottolo di casa.
Non si scherza in questi casi, trattasi di alta politica.
Manca solo la finestra e un po' di penombra poi la scena potrebbe essere la stessa, basta sostituire Michele Apicella con uno dei presenti a caso.
Mi capita spesso di riflettere sul tempo. Quello andato, vissuto, che ha lasciato in noi parecchie tracce e anche quello che vivendo diventa futuro.
Il tempo, probabilmente, è uno dei beni più preziosi in circolazione. Sono convinto che il nostro stato d'animo dipenda molto da come impieghiamo le ore, con chi stiamo, cosa facciamo e se lo vogliamo fare.
Spesso ci pensano i muscoli, irrigidendosi, a farci capire che stiamo facendo qualcosa "per forza". Però molte volte non ci sono molte vie di fuga.
Pensate ad esempio a quante ore state con le persone alle quali volete bene, quanti sono i minuti in cui sorridete e invece quanti quelli in cui tutte le rughe della faccia comunicano uno stato d'animo stressato, nervoso o arrabbiato.
Al di là delle ore che passiamo a dormire che ci servono per poter affrontare la giornata, durante la settimana il resto va tutto nel lavoro e nella frenesia della quotidianità. Ormai la tendenza è quella di andare oltre. Sui posti di lavoro le settimane lavorative per tanti sono già a 40 ore e chi ne fa 36 presto dovrà aggiungerne. Per non parlare degli straordinari richiesti, oppure chi un orario non ce l'ha nemmeno.
Ieri passeggiando con mia figlia sotto il sole di febbraio, che spesso Genova ci regala, ho avuto la conferma di tutto ciò. La vita è altrove come dice Rimbaud, ma questa società continua a non capirlo, l'uomo stesso continua a non capirlo oramai assuefatto dai meccanismi oliati della produttività, da falsi obiettivi che vengono sventagliati davanti agli occhi.
Gli attimi in cui possiamo davvero essere ciò che sentiamo sono sempre meno, diventano respiri profondi che ci salvano da lunghi periodi di apnea.
A testa in su verso la boccata d'aria.
Ci sono giornate, attimi, fatti che succedono, canzoni che ascoltiamo o persone che di sfuggita incontriamo che ci riportano al tempo che è passato.
Non fare il militare mi ha cambiato la vita, ma non solo quello. Fare l’università, ad esempio, il primo incontro con due occhi belli che ancora adesso guardo quando si svegliano.
Ma cosa non ci ha cambiato la vita? Ogni secondo in cui facciamo un passo andiamo a mettere un tassello nuovo nel nostro puzzle. A volte ci può piacere, altre invece vorremmo portarlo indietro e cambiarlo ma non si può, al massimo si può solamente continuare con un altro puzzle o cercare di sistemare l’altro.
Nella vita non ci sono resi.
Niente scontrini o termini di recesso.
Magari hanno ragione quelli che in questo momento nei loro post e nei loro commenti esortano ad occuparci della nostra politica, dei nostri problemi.
Invece io credo che ciò che sta succedendo negli Usa interessi tutti e sia profondamente inquietante soprattutto per il largo consenso dei provvedimenti attuati da Trump.
Democrazia? Certo democrazia, non ci sono dubbi. Sono i difetti, se vogliamo chiamarli così, di questo sistema che da la possibilità di salire al potere anche a chi poi la rinnega. Basta leggere la storia per capire che spesso le dittature si sono vestite come democrazie per poi spogliarsi di quei vestiti una volta al potere.
Dagli Stati Uniti arrivano notizie, non tutte, inquietanti. Vi invito a seguire il blog dell'amica Silvia Pareschi che sta facendo un lavoro importantissimo dandoci la possibilità di seguire direttamente dagli States ciò che sta succedendo.
Oggi leggo di una ragazza italiana libera professionista bloccata alla dogana per ore solo per un timbro della Libia sul passaporto, costretta poi a pagare quasi 3 mila dollari per il tempo che la polizia ha dedicato ai controlli. Una nube grigia chiamata paura sta avvelenando la vita delle persone, al punto di non voler dire il cognome per paura di ritorsioni.
Decidete voi se tutto ciò non interessa anche noi.
Il vento che soffia da parecchio tempo ormai anche in Europa è quello della paura del diverso, del disprezzo, del voler alzare muri e del non accogliere chiudendosi in casa.
Non possiamo chiudere la porta anche noi.
Eppure devo averla letta da qualche parte ieri quella notizia. Magari me la sono sognata, oppure un deja vu di quelli particolari.
Ricordo che parlava di un paese del Nord America. Ecco!!! Il Canada.
Ricordo anche che nel particolare si trattava di uno di quegli atti che ultimamente succedono spesso. Ecco!!! Un attentato.
Morti? Francamente non ricordo. Anche perché poi quella notizia è sparita, piano piano scesa verso la parte bassa dei siti internet dove puoi trovare di tutto. Dai partecipanti all Isola dei famosi, alla copertina della moglie di Trump, ai banner pubblicitari.
Ma è successo davvero, una di quelle notizie che non interessano. Quelle da pochi mi piace, che non vengono condivise, che non portano a discussioni sugli autobus.
Proprio ieri, in una moschea, 6 morti.
Ma non ditelo a nessuno.
Mia nonna in casa nostra era la memoria. Quella che ci raccontava dei fatti di una volta, delle corse in galleria lasciando tutto da una parte per ripararsi dalle bombe. Quella che si ricordava nome per nome, soprannome e dettagli compresi. Quella che con un aneddoto ci ricordava ciò che era successo nelle stesse strade dove ora passeggiamo.
Momenti spesso dimenticati ora, come se quella storia non ci riguardasse più. Troppo lontana da noi, roba d'altri. Ora non abbiamo tempo per ricordare.
Ma la memoria non può essere messa da parte.
Senza i racconti di mia nonna non saremmo diventati ciò che siamo adesso.
Senza memoria non c'è futuro.
"La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento." Primo Levi
Vorrei meravigliarmi, ma non posso perché ormai la prassi è questa, perché l'indifferenza sembra entrata nel DNA e spesso quando qualcuno ha bisogno nelle nostre città molti si girano dall'altra parte. Meglio non interessarsi, meglio girare l'angolo e andare via.
Il tempo però si trova per prendere in mano il telefonino, premere un tasto e condividere il tutto con amici sui 100mila social che abbiamo.
Non importa il fatto in questione, non importa che stia morendo un persona.
Tanto è un migrante, meglio così perché come si dice adesso "uno di meno"o "prima gli italiani" ma in quel tratto di laguna, a Venezia, c'era solo un ragazzo di 22 anni che è arrivato al gesto estremo del suicidio per un permesso di soggiorno non concesso e lo spauracchio del ritorno in una terra dalla quale era appena fuggito.
Vorrei meravigliarmi, ma non posso perché queste sono notizie che è meglio mettere sotto lo zerbino, che politicamente fanno perdere voti.
Cosa siamo diventati, cose diventeremo ancora, che società è quella che guarda morire un ragazzo in acqua mandandolo in mondo visione?
Lo abbiamo abbandonato, non solo in acqua anche in quella che qualcuno definisce la sua realtà quella del web.
Lo abbiamo abbandonato, non solo in acqua anche in quella che qualcuno definisce la sua realtà quella del web.
Stiamo assistendo alla decadenza della civiltà, ci navighiamo in mezzo condividendola con un click.
Sono tante le foto di Guido Rossa che si possono trovare in rete o sui libri. Quelle da alpinista, in corteo con i compagni o semplicemente primi piani. Questa è quella che da sempre mi ha colpito, Guido Rossa padre con in braccio sua figlia.
Già perché prima di tutto era proprio questo, un uomo, un padre e un marito.
38 anni fa le Brigate Rosse hanno portato via ad una famiglia un padre, un marito, un operaio sindacalista che aveva deciso di non stare zitto e di testimoniare ciò che aveva visto in fabbrica.
Il resto lo sapete. Fin da piccolo sono stato abituato a vivere col ricordo di Guido Rossa, grazie alle parole di mio padre, operaio Italsider come lui, al racconto della sua partecipazione al funerale. Una giornata di pioggia che lo ha costretto a comprare un cappello.
Quel cappello ora è nel mio armadio e mi ricorda ogni volta la strada giusta.
Basterebbe questa foto per far capire l'immensità delle balle che racconta, ha raccontato e racconterà questo personaggio che si è insediato alla Casa Bianca.
Diciamo che non è la prima volta che il popolo a stelle e strisce elegge un impresentabile, basta ricordare gli otto anni di Bush, ma qui probabilmente sono andati oltre la più terribile delle previsioni.
La speranza è che il movimento che in questi giorni abbiamo visto protestare durante l'insediamento possa vigilare e contrastare il nulla che avanza.
E così la nostra storia si è conclusa in questa maniera.
In una fredda e ventosa mattina domenicale, sotto i portici a pochi passi dal mare. Dopo avere passeggiato in mezzo alle saracinesche tirate giù del Luna Park, dopo aver salutato e difeso mia figlia da Bruco Mela, vinto un pupazzo costato una fortuna e sorriso ai calci in culo che in un attimo mi hanno riportato indietro nel tempo.
D'altra parte la nostra storia era iniziata in una mattina ventosa in Scozia, precisamente a John O'Groats uno dei punti più a Nord a pochi miglia dalle Orcadi. Da lì è iniziato il nostro cammino insieme, a volte sulla mia testa, altre su quelle della mia ex. Assieme abbiamo attraversato il mare di Scozia, visto le foche, sfidato il vento delle punte, affrontato la macaia genovese, assistito a troppe partite, accompagnato in lunghi e freddi viaggi.
Forse era destino, chi lo sa? Ma in pochi attimi dalla mia tasca sei caduto, raccolto dopo pochi minuti da qualcuno.
L'unica speranza è che ti abbia raccolto qualcuno per coprirsi dal freddo e che possa portarti ad affrontare nuove avventure, tenendoti stretto però l'oceano atlantico, il tuo gemello che è qui con me e quel sapore di Fish and Chips che ti portavi dietro.
Succede ogni anno, è ciò che si sente dire in queste ore nella mia città. Una frase quasi di rassegnazione di una cittadinanza che ormai sembra in balia di acqua e fuoco. Questa volta però l'incendio ha fatto e fa ancora paura. Le fiamme sono arrivate vicino alle case e si parla di 300 sfollati. Genova brucia a ponente e levante, in zona Pegli e Nervi.
Il solo pensiero di avere le fiamme a poche metri da casa mi paralizza mi fa pensare a chi ha dovuto uscire in piena notte con bambini e anziani, per mia fortuna abito a Marassi lontano dai luoghi del disastro.
Spesso si parla di natura che non si può controllare, io parlerei invece dell'uomo che come sempre lancia la sfida a testa alta uscendone sempre mal concio. Questi incendi probabilmente hanno carattere doloso, ma non possiamo solamente fermarci alle considerazioni di un gesto insensato e vile come questo. Dobbiamo parlare dello stato di abbandono dei nostri territori, della mancanza di finanziamenti per la prevenzione, dell'accantonamento della cultura del "verde", agli interventi una tantum dei politici solo per far vedere che si interessano dell'argomento.
Penso alla recente scelta di accorpare il Corpo Forestale dello Stato nei carabinieri, un segnale negativo rispetto alla migliaia di problematiche che sono presenti sul nostro territorio.
Ora il pensiero va a chi ha lasciato casa, a chi ha perso qualcosa e ai pompieri, volontari e operatori che da ieri stanno lavorando senza sosta per salvare una città accerchiata dalle fiamme.
La vera sconfitta come al solito sarà quella del dopo incendio quanto come al solito di territorio si parlerà solo per costruire grandi magazzini e parcheggi.
"E' spaventevole pensare a una persona senza libri... Soltanto grazie ai libri gli uomini e le donne riescono a emanciparsi da un'esistenza squallida. Vivere senza libri! Eppure, gran parte dell'umanità condivide un simile destino. In verità, è possibile classificare il prossimo in due specie, coloro che leggono e coloro che non leggono"
Parte di un articolo scritto sulla rivista "Temple Bar" del 1881, riportato nel libro "Al paese dei libri" di Paul Collins.
Davvero si può salvare il mondo leggendo?
Purtroppo no, anche perché spesso chi commette azioni atroci, violente come la guerra, chi spinge al terrorismo, magari i libri li ha anche letti, magari ha letto quelli sbagliati, oppure non li ha capiti.
Non credo si possa essere manichei a tal punto da dividere la civiltà tra chi legge e chi non legge. Sono però dell'idea che la lettura possa aiutare ad evadere dagli schemi, possa farci conoscere il passato e ragionare sul futuro, possa ricondurci al senso della ricerca manuale che ormai è stata accantonata dal facile click di un mouse.
Senza libri non potrei vivere, mi piacerebbe lavorare con i libri, ma come spesso accade non si può far coincidere il piacere col proprio lavoro. Spesso mi capita di entrare in alcune case e notare che effettivamente il numero dei libri si può contare sulle dita di una mano. Mancanza di tempo? Caro-libri? Oppure semplice scelta di non leggere? Probabilmente a volte un mix di tutto ciò.
Il piacere di immedesimarsi in un personaggio, vivere un tempo per noi impossibile, ritrovare vecchi amici sulla carta, conoscere testimonianze del passato sono tutte possibilità che secondo me dovrebbero essere colte, per emanciparsi è vero e per rinvigorire la propria esistenza.
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