martedì 16 aprile 2019 7 vostri commenti

Post ragione

Cosa siamo diventati? E' davvero colpa dei social o siamo sempre stati così aridi e colmi di odio, vendetta, superficialità, banalità del male. 
Le immagini di Notre Dame che brucia sono ancora nella mente, ognuno credo abbiamo un suo ricordo legato a Parigi. Ricordo che il primo approccio con quella magica città nel 1994 fu proprio davanti alla cattedrale. Colazione con croissant e una mazzata di 9 franchi. Poi la sua presenza imponente per tutto il resto del viaggio. 
Un simbolo religioso ma anche laico, è di proprietà dello Stato,  testimone della storia francese e non solo. Distrutta ora in parte per l'incuria dell'uomo che troppo spesso sottovaluta l'importanza della sicurezza e della manutenzione. 
Le immagini del ponte Morandi rimarranno per anni nella mente di noi genovesi, episodi che ci fanno capire quanto possa essere fragile la nostra esistenza e la nostra eredità storica, soprattutto se lasciata in balia del passare degli anni e dell'incuria dell'uomo stesso. 
Non si sono fatti attendere come al solito i fenomeni da social capitanati dall'uomo del momento, il nostro ministro dell'Interno che in pochi minuti passa dal dichiarare la piena solidarietà del nostro paese ad un post sul grande Fratello. Nulla di nuovo, sia chiaro, un comportamento perfettamente in linea col personaggio. Così come non sono una novità nemmeno i commenti dei suoi sostenitori. 
Ho appena finito di discutere con una persona che mi ha ricordato di non aver visto "Macron chiudere la televisione dopo il crollo del Ponte Morandi". 
Ecco. Siamo arrivati al punto che non si prende come esempio un comportamento corretto ma piuttosto si tende ad iscriversi ad una gara al peggio. In questo momento molti fanno riferimento alla famosa vignetta di Charlie Hebdo contro l'Italia, una sorta di specchio riflesso, per molti un gioco al ribasso.
Un baratro.
giovedì 11 aprile 2019 12 vostri commenti

Vite fantasma

Settanta euro per un viaggio in pullman destinazione Padova, oppure aggiungendone trenta si può arrivare fino a Palermo e trovare magari anche un po' di sole. Anche se il clima rumeno forse assomiglia di può a quello del Veneto, oppure non fa differenza chi lo sa. Tanto in ogni caso chi ha il tempo di andare al mare. Stendere un semplice asciugamano e sdraiarsi, uscire con le amiche di sabato o domenica. Già la domenica quella che magari una volta si passava in famiglia, facendo la pasta, mangiando un bel piatto di musacà, poi canti e balli. 
Invece ora solo urla, a volte anche maltrattamenti, liquidati in poco tempo dopo essere magari stati pagati male e in nero per badare ventiquattrore su ventiquattro ai nonni, gli zii e padri o le madri degli italiani. 
"Sindrome Italia", ha un nome questa malattia che è stata diagnostica in passato anche ai sudamericani tornati nel loro paese dopo tanti anni passati da noi a fare il lavoro da badante.  Crisi di panico e ansia, causati il più delle volte per colpa delle notti insonni e della mancanza di riposo che ogni lavoratore dovrebbe avere. Crisi per il pensiero costante ad una vita andata e non vissuta, anzi passata lontano dai propri figli delegando la loro crescita e la loro educazione. Nonni che diventano genitori, genitori che diventano figli di persone estranee che non possono essere accudite perché spesso non si può fare a meno di lavorare, o perché l'assistenza costa troppo oppure perché quando si è vecchio si viene messi in un angolo.
Anche queste sono vite. 
Spesso dimenticate.
venerdì 5 aprile 2019 11 vostri commenti

La speranza ha 15 anni

Al di là di ciò che si pensa, il coraggio di Simone, quindicenne romano, è un'iniezione di speranza. Affrontare persone come quelli viste nelle immagini, gente che arriva a calpestare cibo, aggredendo l'operatore che stava portando viveri non è da tutti. Tutto ciò soprattutto in tempi in cui la partecipazione è sempre meno a 360 gradi. 
Certe cose fanno tornare alla mente i discorsi che spesso sentiamo sui "giovani d'oggi" che in molti casi vengono citati o ricordati solo per i loro difetti. 
Le parole di Simone non sono politiche, lo dice anche lui, ma di civiltà. Un ragazzo che dice "nessuno deve rimanere indietro". Già, se solo ci soffermassimo sull'importanza di questa frase avremmo fatto cento. Parole alle quali si da poco peso, in un momento storico in cui troppi vengono lasciati indietro, vuoti riempiti da  movimenti e personaggi pericolosi che cavalcano il malcontento trovando nello straniero di turno il capro espiatorio. 
Mi ha colpito anche un'altra frase detta da Simone, che ora non deve diventare simbolo di nessuno sia chiaro, quando dice che "se rubano gli italiani nel quartiere non gli diciamo niente"
Simone.
15 anni. 
La speranza.
martedì 2 aprile 2019 22 vostri commenti

Dieci anni

Rileggersi è sempre piacevole. A volte capita di scorrere pagine scritte e non riconoscersi oppure ritrovarsi in quel momento preciso, scrollando la testa o sorridendo. 
Il primo me lo ricordo molto bene "Quando si dice... il primo è il più difficile" era il 21 marzo 2009 e non ero al massimo della forma. Un matrimonio finito da poco, dopo una storia durata 15 anni, e un anno in cui non sono stato da nessuna parte e da tutte le parti. 
Poi a dicembre 2008 le sliding doors della mia vita mi hanno fatto rincontrare la ragazza che ora è mia moglie, conosciuta durante l'università e poi ritrovata ogni tanto per le vie di Genova, non c'erano i cellulari, o su una cartolina spedita alla Thailandia. 
Un 2008 iniziato toccando il fondo, salvato da un gruppo di amici e un divano che ogni sera mi accoglieva. Chitarre, sigarette, vino e tanto casino. Finito però in bellezza con un bacio da innamorato dato come un quindicenne in una piazza di Genova.
Ho sempre amato scrivere, ma in quel periodo sentivo proprio l'esigenza di farlo in maniera sistematica. A 33 anni mi sono ritrovato solo a ricominciare tutto dall'inizio quando fino a quel momento ero sempre esistito come coppia. 
Ricordo la faccia di mio padre quando gli dissi della separazione - "non ti preoccupare ritiro su il muro e rifacciamo la tua camera!". Invece poi trovai una casa piccola lì vicino che ancora oggi vediamo quando con Greta facciamo una passeggiata - "la vedi, quella è stata la prima casetta di papà e mamma" - un buco, ma ci stavamo bene. 
Poi quella sera di inizio primavera la nascita del blog e come i primi fans i miei amici Marco e Paolo. L'idea era quella di un diario personale, mutato nel corso degli anni come sono cambiato io. Ora non sono più quello di dieci anni fa e non so nemmeno come sarò domani. 
In questi 10 anni di I Diari dello scooter di cose ne sono successe e ho cercato di parlarne in questi 1633 post, belli, brutti, semplici, banali, scritti bene o male. Non lo so, ho sempre pensato che alla fine sono come i nostri diari scolastici, o i nostri quaderni nascosti. Scrivere quando ne sentiamo l'esigenza. Momenti brutti purtroppo come la morte di mia nonna o meravigliosi come il viaggio di 6000 km in scooter in giro per l'Italia. Indimenticabile. E tanti altri, il primo anniversario, una scelta difficile da prendere e poi quello del 4 agosto 2014 quando nacque una mini blogger.
Ho incontrato tanti amici e nemici virtuali in questi anni. Molti non scrivono più e mi dispiace molto, perché ricordo meravigliosi dibattiti. Ora forse la moda è quella della lettura "tutta e subito", delle poche righe, del tempo che fugge. 
Molti sono ancora qui a leggere e scrivere, qualche blogger poi l'ho anche visto in carne ed ossa. Incontri davvero piacevoli. 
Un blog iniziato da neo separato e ora invece padre di una bimba di quasi 5 anni innamorato degli occhibelli di sua mamma, nata proprio a metà di questo periodo. Una sorta di punto più alto raggiunto, anche se non credo sia tutta in discesa da qui in poi, anzi non lo deve essere perché alla fine il sale della vita credo siano le sfide da affrontare e i cambiamenti da accogliere. 
Allora al prossimo post e grazie a chi viene a trovarmi da 10 anni e a quelli che verranno. 
lunedì 1 aprile 2019 6 vostri commenti

Cafone

L'immagine di quell'uomo o quel "cafone", come definito da Di Maio, che si prende gioco della poliziotta arrivando testa a testa con lei apostrofandola poi con il termine "cogliona" è il perfetto riassunto della situazione del paese. 
Il senso di impunità che questi personaggi stanno provando è pericoloso,  il continuo inneggiare a slogan fascisti, illegali per legge bisognerebbe ricordarlo, fa davvero pensare ad una lancetta che scorre indietro nel tempo.
So già che qualcuno dirà che anche nei cortei di sinistra si scherniscono i poliziotti, assolutamente vero. Chi è onesto però non può non notare la differenza di comportamento. Ho visto volare manganelli per molto meno, per sguardi, oppure solo per la presenza di manifestanti. A Verona mi è parso di vedere una poliziotta che ha cercato di intervenire arrivando però a  ridimensionarsi per l'aggressione di questo "cafone", sempre per citare Di Maio. 
Già quest'ultimo che si vergogna anche di nominare la parola "fascismo" perchè è di questo che stiamo parlando. Non si tratta di fez né tantomeno di gente in braghette corte e camicia nera ma arriva sotto abiti moderni, come quelli di uno che passeggia con un cane e insulta il poliziotto di turno facendo vedere anche il fondoschiena, arrivando addirittura a minacciare chi è in divisa perchè "mi hai spinto". 
Il giorno dopo non mi pare di avere visto Tweet del ministro dell'interno digitale, nessuna foto con tanto di felpa e foto della poliziotta. Niente solo la sua comparsa al congresso della vergogna e un tweet del suo socio pentastellato che non si sbilanci nemmeno quando deve scegliere un hamburger al bar. 
Tempi duri e bui. 

sabato 30 marzo 2019 10 vostri commenti

2019 la Paura

Per troppo tempo questo paese ha preso alla leggera la Lega, incasellata tra folklore e goliardia. Le ampolline alle sorgenti del Po vestiti di verde, la secessione, la pulizia con spruzzino delle carrozze dei treni occupate da persone di colore, le manette in parlamento, gli insulti ai meridionali.
Oggi con triplo salto mortale hanno messo via la bandiera del Nord per cavalcare il nazionalismo, gli stessi che bruciavano il tricolore. Trasformismo per occupare posizioni di governo.
Verona non deve far sorridere, deve farci riflettere sul pericolo che stiamo correndo e sul futuro dei nostri figli, un salto indietro nel tempo che rischia di eliminare diritti basilari per una società civile.
Verona è la morte della ragione, è paura.
giovedì 21 marzo 2019 23 vostri commenti

Non era questione di pollici


Non sono così in là con l'età ma ricordo molto bene i racconti di mia nonna, dei miei zii o dei miei genitori.  Una sorta di migrazione del quartiere nell'unico posto dove c'era lei. Signora televisione. Un canale solo, poi due. Prima in bianco e nero e poi verso la fine degli anni 70 a colori. 
Anni in cui la parola social aveva una vocale come finale e il suo significato era quello di entrare in rapporto con qualcuno, in questo caso sempre attraverso un mezzo come quello televisivo. 
Eravamo noi ad andare da lei. 
Non era una questione di pollici, di 4k, di velocità della fibra e di streaming. C'era quello. 
Ho ancora impresso nella memorai fotografica una delle nostre televisioni, arancione e senza telecomando. Era il periodo in cui ti dovevi alzare per cambiare canale e spesso la fatica vinceva sulla poca qualità del programma in onda in quel momento. 
Una sola televisione presente in casa e nella sala dove tutti quanti potevano vederla, il tinello come si chiamava. 
Ricordi che si incrociano, eventi della nostra vita, pubblici o privati, piacevoli o meno che si associano alle diverse televisioni. Quella delle Edizioni straordinarie, delle stragi e delle guerre nel Golfo. Quella dei mondiali vinti e quell'urlo di Tardelli oppure quella delle bandierine che Emilio Fede piazzava sull'Italia continuando a scrollare la testa per la sconfitta di Berlusconi. 
Altri canali.




giovedì 28 febbraio 2019 8 vostri commenti

1993


Parigi è un sogno. E' un'avventura da diciassettenne, è il 1993, è una passeggiata sugli Champs-Elysées con il bomber e lo stemma della Fossa dei Grifoni sul braccio sinistro, è una sigaretta rubata sotto la Tour e una foto che nessuno dovrà vedere, è un singolo di Bon Jovi, è un bacio atteso da anni, è un francese che ci insulta sul metro chiamandoci "socialisti", è il rosso del Moulin Rouge, è la Galleria degli impressionisti guardata con un occhio mentre con l'altro si guardava una ragazza, è una corsa senza senso sul piazzale della Défense, è una t-shirt di Einstein presa a Montmarte, è un cappello che ancora indosso, è una fila di gettoni che volano per una telefonata, è un rullino che non basta mai, è una cotoletta con contorno di spaghetti, è una notte tutti nella stessa camera, è un francese improbabile, è una classe indimenticabile e un viaggio in treno col cuore che batte perché al confine il sogno finisce, è la gioventù.

mercoledì 20 febbraio 2019 8 vostri commenti

Dalle stelle alle stalle


Viviamo in un momento davvero particolare. 
Quante volte abbiamo detto questa frase. Ricordo il periodo del berlusconismo, anni bui, anni di leggi ad personam, una sorta di occupazione privata dello stato. Fascisti al governo, Previti alla difesa, Tremonti quello della finanza creativa al ministero delle Finanze, Maroni ministro dell'Interno. 
Anche il quel caso un governo bluff, che fece un'alleanza al sud con Alleanza Nazionale e al Nord con la Lega di Bossi, quella che andava ancora in giro con le ampolline sul fiume Po.
Sono passati 25 anni e ora al governo abbiamo due partiti (?) che non si sono presentati insieme alle elezioni, come d'altra parte quelli dell'esecutivo precedente, e che hanno solo una cosa in mente non mollare le stanze del potere. 
Da una parte abbiamo il genio dei male di Salvini che ha capito come comunicare con gli italiani, che ahimè fanno preoccupare, twittando qualunque cosa. Se nell'aria c'è una sommossa contro Sanremo ecco che arriva immediatamente il messaggio di Salvini contro la giuria. La nazionale di calcio non vince, ecco che arriva il messaggio di Salvini a favore delle rose con giocatori italiani. Per non parlare dei selfie, mentre mangia la nutella, mentre mangia la pasta al ragù, mentre indossa la divisa della polizia, dei pompieri o di una squadra di calcio, quella della finanza per ora no, chissà magari non gli stanno simpatici per la questione dei 49 milioni di euro. 
Dall'altra parte i grillini che osannano una piattaforma privata di voto, fieri di 55mila voti, una cosa del genere, tenendo conto che alle ultime elezioni hanno preso più di 10milioni di voti mi chiedo di cosa stiamo parlando. Quelli che si sono presentati al paese come duri e puri, che hanno fatto della coerenza la loro bandiera,  hanno sdoganato l'immunità parlamentare arrivando alla dichiarazione imbarazzante del ministro della giustizia "Chiariamo: qui non si parla dell’immunità di un politico che si fa scudo del suo essere politico rispetto ad un atto che ha compiuto nel proprio interesse". Una di quelle dichiarazioni che fanno ripetere più volte "l'ha detta proprio così?!?". Si proprio così. Sostenendo in pratica che Salvini ha commesso un reato non per se ma per gli altri, sdoganando anche in un colpo solo Tangetopoli. 
La cosa che mi preoccupa di più di questo governo è il razzismo che sta facendo venire fuori nelle città, nelle piccole realtà, oltre al fatto che spaventa l'incompetenza e la totale mancanza di una politica del lavoro. Nella mia città stanno continuando a chiudere attività e aziende mentre questi si esaltano per 55 mila contatti su una piattaforma oppure sono impegnati a farsi selfie chiudendo porti in faccia alla gente. 
venerdì 1 febbraio 2019 15 vostri commenti

Tuo figlio


Durante la notte ci alziamo, a volte, per andare a rimboccarle le coperte. Certo abbiamo i caloriferi accesi e finestre buone che tengono gli spifferi, ma lei dorme scoperta per poi rannicchiarsi perché si sa nelle ore notturne poi la temperatura cala e a star fermi si prende freddo. 
Durante il giorno poi dalle nostre parti il vento firma ogni ora con delle folate che spesso ci aiutano a tenere lontano le nuvole, quelle cariche di pioggia, ma che può essere dispettoso e procurarti quel mal di gola stagionale. Quindi cappello bene messo, sciarpina e giacca chiusa bene, che anche se abbiamo quattro anni stiamo imparando da sole a infilarcela.
Durante il pomeriggio la voglia  di aiutare i nonni o mamma e papà è tanta, ma per andare sul poggiolo sempre meglio coprirsi. E poi mi raccomando sul marciapiede quando siamo per strada e la mano ben stretta negli attraversamenti. 
Già, se fosse tuo figlio.

venerdì 25 gennaio 2019 15 vostri commenti

Va tutto bene

Genova ultimamente sembra un pugile messo all'angolo, con la guardia alta ma a tratti con le gambe molli sul punto di cadere. Il crollo del ponte Morandi ci accompagna ogni giorno, la mente non può dimenticare quelle persone e il fatto di essere dei sopravvissuti ad una tragedia.  
Ogni mattina per molti di noi  inizia l'avventura per raggiungere il posto di lavoro, ritardi che si accumulano, minuti che diventano ore. Io sono tra i fortunati che non devono attraversare la città.
Due giorni fa anche la neve ha voluto mostrarci la sua forza, un fascino che in poco tempo si è trasformato in disagio, soprattutto per l'incompetenza di chi dovrebbe gestire situazioni del genere. Mi ha colpito la reazione di molti genovesi, in passato pronti a fare le pulci per ogni cosa ai sindaci precedenti, attaccati anche giustamente, ma ora invece folgorati dalla luce divina di questo sindaco che non fa nulla ma "lavora bene".
In noi è ancora fresca la tragedia dell'alluvione e le responsabilità di alcuni amministratori di centro sinistra. Ora però va di moda tirare in ballo "quelli di prima" anche se non c'entrano, al di là dell'operato di chi in questo momento governa la cosa pubblica. Quindi l'amministrazione Bucci viene definita come la migliore degli ultimi tempi nonostante, la vergognosa gestione del maltempo di due giorni fa, nonostante i tagli al sociale sempre più massacrato, nonostante i parcheggi si continuino a pagare una cifra esagerata (l'altro ieri 3 ore e mezza 7 euro), nonostante gli autobus del servizio pubblico si fermino per strada e potrei andare avanti. Però, perché noi siamo la Repubblica del però, ha spostato dal centro cittadino il "vergognoso", come definito da molti, mercatino degli immigrati, spostato a Ponente, mica chiuso, fuori dalla vista della Genova bene. Per non dimenticare gli ombrellini colorati e lo scivolo che non scivolava in via XX Settembre.
Del suo amico Toti che governa la Regione non ho più neanche voglia di parlare, cito solo i tagli fatti dalla sua giunta ai servizi ai disabili caduti nel nulla e il progetto di privatizzazione degli ospedali liguri.
Ma che dobbiamo dire. 
Stanno lavorando bene.

giovedì 24 gennaio 2019 13 vostri commenti

Rossa



Ho sempre amato questa foto di Guido Rossa e ora, da padre, ancora di più. Così come quel cappello comprato da mio papà durante il suo funerale, il 29 gennaio del 1979, in una giornata in cui anche il cielo piangeva.
Forse spinto da quella tuta blu indossata per una vita in fabbrica da mio padre e dalla consapevolezza che ogni cosa va conquistata col sudore, coraggio, partecipazione e onestà.
Per sé stessi ma soprattutto per gli altri.
venerdì 4 gennaio 2019 18 vostri commenti

Cameretta alla rivoluzione

Uno pensa di essere preparato a tutto. Spesso ce la raccontiamo o magari cerchiamo di mostrare sicurezza per rassicurare gli altri. Poi alla fine quando ci si ritrova soli a fissare la libreria di casa è impossibile raccontarsela. 
Sia chiaro, nessuno tragedia. Solo un piccolo gradino di crescita da genitori, il passaggio alla cameretta. 
La cosa davvero divertente (?) è che la più pronta e preparata sembra davvero essere l'elemento della famiglia che ha 4 anni. Dopo una prima notte serena con mamma vicino nel letto di soccorso, stasera è di là tranquilla che dorme sola con una lucina, mentre il sottoscritto, che comunque è sempre nottambulo, fa da granatiere in una cerimonia ufficiale. 
Non credo ci siano formule magiche da genitori, ma solo strade che si prendono. In questo caso la libera scelta di un bimba di quattro anni che ha deciso di andare nella sua camera con tanto entusiasmo.
Nel mezzo questa volta ci finiscono mamma e papà.
Ora controllo luci e via di fuga e poi torno a fare il granatiere. 
Buonanotte, forse.
lunedì 31 dicembre 2018 8 vostri commenti

Duemiladiciannove con fantasia.



“Papà un giorno mi porti a vedere dove finisce l’arcobaleno?!?”.
L’augurio è quello di andare alla ricerca dell’impossibile, di quello che ad altri sembra irraggiungibile, di non fermarsi alla prima spiegazione data, di scavalcarli ogni tanto i muri, di aprire porte e di vedere più colori non solo uno, magari mettendoci anche un po’ di sana fantasia.
Buon 2019!!!
martedì 25 dicembre 2018 10 vostri commenti

Natale a casa di Ernest


La mia è una di quelle famiglie pro-pranzo di Natale. Ricordo solamente un'occasione in cui abbiamo fatto il cenone e aperto i regali di sera. Il più brutto Natale della mia vita. 
Una tradizione che porto con me, al di là del significato religioso. Ho ancora ben presente l'ansia della sera prima, l'attesa di Babbo Natale o Gesù Bambino come si diceva una volta, la magia dell'apparizione inspiegabile dei regali comparsi dal nulla in poche ore. 
Prima non c'erano, ora si. 
I miei passavano nottate intere a montare i giocattoli, così alla mattina io e mio fratello trovavamo il fortino dei Playmobil montato, il camioncino dei lego, il subbuteo, i puffi e altro ancora. 
Il pranzo poi era un vero e proprio rituale. L'aperitivo di mio padre, rigorosamente Negroni da accompagnare a stuzzichini per non rischiare di brindare con l'armadio al posto della zia. Poi una quantità infinita di antipasti che si finiva di mangiare attorno alle due del pomeriggio. Due primi logicamente, i ravioli di mia madre sui quali iniziava la solita discussione, ovvero col sugo alla genovese o al ragù? Destino di chi ha un padre filo-emiliano e una madre genovese. In tavola venivano portate due "fiammanghille" di ravioli conditi in tutte e due le maniere, l'unica cosa che avevano in comune è che non ne rimaneva nemmeno uno. 
In mezzo spesso si mangiava il pinzimonio, si diceva per depurarsi un po'. Poi come nei migliori incontri di box, fuori i secondi. E allora via con arrosto al sugo, patatine, salsa verde e l'immancabile cima. Per quelli che non erano sazi ci pensava la zia irrompendo in sala con la fatidica domanda "chi vuole un po' di carne fritta". 
La firma finale veniva messa dalla frutta secca e dai dolci che comparivano in tavola verso le quattro e mezza cinque, seguiti dai giochi che noi bambini richiedevamo a gran voce. Tombola, mercante in fiera e settemezzo. 
Verso sera poi tutti si dicevano sazi, ma bastava che uno iniziasse a mangiare qualche raviolo riscaldato per far ripartire la macchina instancabile della cucina. 
Gli unici intervalli tra una portata e l'altra erano riempiti da noi ragazzi che insieme a mio zio cantavamo canzoni in genovese. Niente chat, niente foto ai piatti, tanti bei dialoghi, risate sane e racconti. 
Ora quello che posso fare io è cercare di bagnare le radici di questa tradizione e trasmetterla a Greta, nella speranza di riuscirci almeno un po'. 
Buon Natale e buone feste ragazzi. 
E che si sappia nella foto i seicento ravioli appena fatti da mia madre e io preferisco il sugo alla genovese.
giovedì 13 dicembre 2018 21 vostri commenti

Quando abbiamo smesso

Non credo di riuscire a ricordare l'ultima volta in cui sono stato bambino. Ho finito da poco il libro di Fabio Bartolomei "L'ultima volta che siamo stati bambini", una storia di piccoli spettatori degli orrori della seconda guerra mondiale, un'avventura che pagina dopo pagina assomiglia ad un rito di passaggio all'età adulta. 
La memoria mi tradisce e non ho la totale certezza di fatti che sono successi ormai tanto tempo fa, ricordi veri o racconti che ho sentito, un dubbio difficile da risolvere. Torna alla mente allora l'immagine di un primo funerale di una bisnonna, oppure il primo trasloco e il distacco da quella che per anni era stata casa nostra. Un cambiamento radicale da un quartiere ad un altro.
Forse il primo bacio  dato dietro ad una siepe con i compagni di classe a qualche metro a fare  tifo da stadio come in gradinata sotto la finestra di un'incolpevole signora che in pochi attimi ci ha ricoperto di insulti. Oppure la prima delusione d'amore e quel dolore che sembrava infinito, o semplicemente la prima volta che mi sono innamorato.
Chissà, magari non ho mai smesso di esserlo. 
Una speranza.

venerdì 30 novembre 2018 15 vostri commenti

La stringo ancora di più


La paternità offre la possibilità di pensare a molte cose, attente riflessioni sulla vita e su ciò che ci circonda. Mi capita spesso di fermarmi a guardare mia figlia mentre prova a fare improbabili piroette o coreografie che nemmeno Brian e Garrison avrebbero potuto creare. Movimenti che riconciliano con tutto, riuscendo a far dimenticare i momenti di tensione della giornata, i pensieri immagazzinati dal cervello in continuo movimento e anche la cervicale. 
Il momento della favola è davvero quel rito tanto descritto da chi ci è già passato, con la differenza che non si tratta di un solo racconto, ma nemmeno di due, una sorta di richiesta di lettura all'infinito per rimandare il momento della nanna, che comunque poi arriva. 
Proprio in quell'attimo in cui mi capita spesso di prenderla in braccio, magari al buio, stretta a me a volte mi tornano in mente immagini come questa, mamme in fuga con i proprio figli, trascinati senza scarpe per evitare lacrimogeni o cose peggiori, padri con in braccio il proprio figlio stretto al corpo. In quel momento la stanchezza della giornata e i dolori alla schiena sembrano sciocchezze di fronte a persone che camminano chilometri e non possono permettersi di mettere giù il proprio figlio, rendendomi ancora di più conto della fortuna di vivere nel punto geografico fortunato. 
Se mai quel punto dovesse diventare pericoloso spererei di incontrare porte aperte non muri.
Allora la stringo ancora di più.

giovedì 22 novembre 2018 10 vostri commenti

Possiamo non scriverci messaggi?

"Al nostro terzo appuntamento lui mi ha fatto una proposta inattesa: 'Possiamo non scriverci messaggi?'". Questa la prima frase di un articolo apparso sulla rivista New York il mese scorso firmato da Clara Artschwager.
Non vuole essere un elogio ai tempi andati secondo me, ma una riflessione su quelle che erano le relazioni umane. Pensiamo al corteggiamento ad esempio, all'ansia consumata nelle ore che ci dividevano da un incontro, il pensiero alle lancette che scorrevano veloci portandoci alla tanto odiata ora del saluto. 
Una pausa di presenza che ora non è possibile, una vicinanza digitale che rischia anche di confondersi con quella fisica, reale. 
Dovevi dirti tutto e subito, non c'erano prove d'appello, non c'era il messaggio che ti concedeva un'altra chance, ma solo tanti pensieri alla frase detta, ripensamenti o sorrisi che potevano trovare conferma solo il giorno dopo,  corse verso citofoni, pulsanti premuti e una voce, quella di un padre o una madre, che fungevano da spartiacque tra te e la fidanzata.
Per non parlare delle lettere o dei bigliettini, messi negli zaini ritrovati a casa in mezzo al diario, frasi scritte sui banchi cancellate e poi riscritte. Dediche messe nero su bianco nelle pagine dei giorni di festa dove non c'erano i compiti, foglietti ritrovati magicamente sui motorini a volte, per i più romantici, con una rosa. 
Emozioni senza Giga. 
giovedì 15 novembre 2018 13 vostri commenti

Decreto Ischia

Qualche minuto fa è stato approvato il Decreto Genova. Come diceva il buon Moretti le parole sono importanti e spesso in questo modo ci stanno fregando. La mia città è in ginocchio, giusto dire che non stava benissimo prima, ma ora siamo lì fermi ad aspettare il colpo di grazia.
Fa davvero rabbia vedere un condono edilizio all'interno di un provvedimento col nome di una città che sta pagando ogni anno un tributo di vite spezzate e di danni per colpa proprio di quella edilizia senza senno.
Il crollo del ponte ha portato con sé come ovvio non solo problemi logistici ma occupazionali, ditte che chiudono, piccole imprese o negozi della porta accanto che non rinnovano il piccolo contratto dell'aiutante di turno. Tutte realtà che alle alte sfere sfuggono. 
Qualche settimana fa ho avuto la sfortuna di ascoltare il sindaco di Genova parlare di soluzione che deve arrivare anche dall'entusiasmo. Ecco. Una burla continua strutturata in diversi atti dove la costante è il selfie dove il richiamo della stampa può fare da eco. 
Si fanno riprendere a Portofino quando il ponente cittadino è nel dimenticatoio, Prà qualche giorno fa nuovamente allagata ma in quel caso nessuna fotografia del Presidente della Regione Toti e del sindaco ma solo la solita gente ad asciugare locali e a tirarsi su le maniche.
Via 30 giugno, la via che passa proprio sotto al ponte, chiusa senza avvisare nessuno con le conseguenze che potete immaginare sul traffico urbano che non vuol dire solo tornare a casa tardi, ma spesso significa anche entrare al lavoro tardi, ritardare una consegna tutte cose che possono indurre un'azienda a cambiare aria. 
Ma qui la parola d'ordine è entusiasmo  condito in armi da distrazione di massa. 
domenica 4 novembre 2018 25 vostri commenti

Colpi su colpi

Questa volta il peggio è arrivato dal mare. Il nostro amico, un compagno che noi genovesi, noi liguri sappiamo di avere sempre lì a disposizione. Una presenza, la sua, che possiamo avvertire in ogni momento anche quando si cammina nei vicoli del centro storico sommersi dall'altezza dei palazzi di una volta. 
L'acqua è arrivata di notte sulle strade del litorale, spazzando via tutto. 
I danni non si contano più, la mia città ultimante sembra entrata in un circolo vizioso. Le alluvioni, le frane, il crollo del ponte e ora i danni della mareggiata. 
Nulla avviene per caso però. 
Che si tratti di incuria, di mancata manutenzione o di cemento che avanza, la mano dell'uomo è sempre presente. Ogni volta che passo sulla sopraelevata penso a quanto cemento abbiamo messo tra noi e il mare. In alcuni casi un'azione indispensabile probabilmente per permettere l'esistenza stessa dell'urbe, ma in alcuni casi a mio giudizio un'invasione che ora la natura ci sta facendo pagare. 
Sento dire spesso ultimamente che Genova si rialzerà. Non lo so, me lo auguro, ma quel che è certo è che stiamo prendendo pugni nello stomaco da molto tempo. 
Siamo, credo, l'unica città al mondo con un'autostrada che termina dentro alle vie cittadine, un danno, un disagio per tutti che non può essere sopportato ancora per molto. Il rischio è quello di un ulteriore tracollo dell'economia cittadina. Genova anni fa puntava a superare il milione di cittadini ora siamo meno di seicento mila. Molti anziani, i giovani fuggono, come il lavoro. 
Il decreto Genova partorito dal governo è un insulto, davvero troppi politici anche locali stanno giocando a chi la spara di più, una propaganda infinita che in questo caso gioca con la vita delle persone, delle loro case e delle aziende che chiudono. 
Andremo avanti a Genova questo si. Ne abbiamo passate tante, ma oltre al ponte serve costruire una prospettiva comune. 

Latest Tweets

 
;